In evidenza

Con o senza parole

Il titolo di questo blog non è casuale. Non ci si rende conto del valore e del peso delle parole fino a quando non ci si trova in situazioni-limite. Parlo di situazioni in cui si evidenziano l’importanza e il senso delle parole, come nel caso della parola “razzismo”. Negli ultimi anni della mia attività sociale ho sentito dire troppe volte per strada: “Io non sono razzista, ma…” a cui seguivano affermazioni squisitamente xenofobe verso una o un’altra etnia o cultura. Quel ma abilitava qualsiasi affermazione.

Ma ci sono anche situazioni-limite in cui le parole iniziano a mancare. Non si sa più definire cosa stia accadendo a noi stessi o intorno a noi. A volte è lo stupore di fronte alla grande mostruosità o all’infinita meraviglia che ci toglie le parole e ci lascia senza fiato. Quando invece la mancanza di parole diventa patologica, si chiama afasia: l’immagine di quello che si vorrebbe indicare arriva alla mente, ma le manca la didascalia.

David sulle nuvole

Per mia fortuna e per lo sforzo cosciente che negli anni ho applicato,  varie volte sono rimasta sospesa fra le nuvole, senza parole, rapita dalla meraviglia inenarrabile, colpita dall’emozione ineffabile, colta dalla comprensione più inspiegabile. Finché avrò parole cercherò di raccontare queste esperienze e la visione delle cose che, successivamente, si è aperta un varco nel mio sguardo ignorante.

Perché anima mia questa speranza? Riflessioni illuminate dalla luna

Qualche giorno fa ho incontrato un’amica che non vedevo da otto anni. Abbiamo passato qualche ora insieme sulle sponde del Lago di Costanza, illuminato dalle luci elettriche e poi dai raggi di una luna chiarissima.

La mia amica e il suo compagno, entrambi medici, venivano da Monaco di Baviera, io e il mio compagno invece da casa nostra ci abbiamo messo solo mezz’ora a raggiungerli all’hotel sulla riva tedesca del lago.

Nonostante ormai la storia umana si divida in prima e dopo la Covid, abbiamo conversato fluidamente per tutta la serata di noi, delle nostre vicissitudini vicine e lontane, delle tendenze che osserviamo nel mondo, senza pronunciare mai le parola Covid, vaccino, Ucraina, cambiamento climatico e Palestina. Non ce lo siamo proposto, semplicemente non sono venute.

Abbiamo parlato di noi stessi in profondità, delle comprensioni ottenute dal passato e delle prospettive per il futuro che, nonostante l’instabilità generale, continuiamo a progettare. La consapevolezza che niente forse andrà come vorremmo ci ha insegnato a progettare con flessibilità infinita. Abbiamo fatto considerazioni interessanti riguardo alla nostra specie, questo sapiens che nonostante tutto avanza seppure nel silenzio stampa più totale.

Negli ultimi otto anni con la mia amica ci siamo sentite due volte, ma appena abbiamo affrontato il tema “informazione”, passeggiando sulle rive del Bodensee dopo una cena leggera, non abbiamo avuto bisogno di molte parole per intenderci.

Il fenomeno è mondiale e accelerato, la gestione monotematica dell’informazione evita di mostrare cosa accade sul pianeta azzurro, ma non ce la fa ancora a silenziare la comunicazione diretta e in presenza. L’arsenale di strumenti per il passaggio delle informazioni che si è sviluppato negli ultimi decenni, non può essere ridotto rapidamente a un imbuto che sputa una notizia (preoccupante) alla volta con la stessa prospettiva e spesso usando identiche espressioni. Di informazione ce n’è per tutti i gusti e non è così difficile trovare tutte le “verità” nonostante il controllo crescente e la censura ormai sfacciata. A volte le notizie aggrediscono spuntando fuori anche non richieste, in base ai nostri “gusti” previamente tracciati. E sono così contraddittorie che alla fine non crediamo più a niente.

E questo forse non è male. Sono sempre di più le persone che vedono questo fenomeno e prendono distanza dalle definizioni di “informazione ufficiale” e “disinformazione”. Sono già tanti coloro che stanno imparando a “educare l’algoritmo” per avere accesso alle varie versioni e cercare una propria interpretazione critica di ciò che accade. Altri sono semplicemente confusi, risuonando con la perdita di controllo piuttosto che con il controllo.

La sete di futuro che muove la nostra specie ci spinge oltre le analisi delle trasmissioni giornalistiche, ci lancia a rinnovare il legame tra le persone, a cercare di sentire il silenzio della campagna e quello della mente quieta, a vedere la natura e la sua capacità di crescere, nonostante tutto.

Sotto la luce impressionante di una luna piena che disegnava le increspature dell’acqua sulla superficie del lago, abbiamo rinnovato l’ottimismo che ci distingue e il soffio della speranza ha mosso le nostre vesti e i nostri pensieri in profondità.

“Perché anima mia questa speranza?” (Silo)

Quasi primavera

Scritto ispirato dal poema Frühlingsglaube di Ludwig Uhland (1787 – 1862) e dall’ascolto dell’album Tredici canzoni urgenti di V. Capossela

Prima guardavamo la TV e un po’ ci riconoscevamo.

Certo, non tutto ci rappresentava. Ho detto un po’.

Poi sono iniziate le notizie in coro,

tutti quanti in un coro sguaiato.

E non ci riconoscevamo più.

Non ci rappresentavano più i notiziari.

Non ci rappresentavano più i programmi culturali.

Ma neanche quelli di cucina e il meteo.

Spenta la TV. Buttata via

dalla finestra.

Allora le notizie le abbiamo cercate altrove.

Nei canali, nei siti, nelle onde dissidenti

e, a dir loro, indipendenti.

Abbiamo trovato voci amiche, voci sobrie e

voci esagerate.

Tante voci, tutte le voci.

Quelle intonate e quelle stonate.

Ma alla fine anche tutte queste voci hanno stufato.

Stanchi di sentire accuse e denunce,

stanchi di verità negate e di verità rivelate.

Stanchi.

Allora siamo usciti e abbiamo visto la vicina di casa.

E l’abbiamo salutata come se non fosse successo niente.

Abbiamo sorriso.

Siamo usciti per strada e abbiamo visto un signore

con la mascherina…ancora!

La giovane donna col cagnolino.

Il ragazzo con la musica in cuffia.

I piccoli sfrecciare sul monopattino.

Le macchine con quelli nascosti dentro.

L’asfalto rotto.

I fiorellini incerti sul bordo della strada

e gli alberi.

Gli alberi con le fronde che frusciano nel vento fresco

della primavera che si attarda.

Si attarda.

Ma arriverà, questo è certo.

5 buone ragioni per votare… o per non farlo

(Foto: D. Beccafumi. Ercole al bivio – da wikimedia Commons)

Le opinioni delle persone non sono così polarizzate come sembra e il popolo degli indecisi aumenta di anno in anno. Gli argomenti qui sintetizzati cercano di mantenere una coerenza di contesto logico ma, come ben sappiamo, la logica non è la forma più comune di pensare. Tra i nostri amici e conoscenti troviamo molte sfumature che contraddicono la logica ma che rappresentano il sentire individuale. Ovviamente questa riflessione è dedicata agli indecisi, poiché chi ha già deciso e sa cosa fare o ha già riflettuto fin troppo o non lo vuole proprio fare.

Tutti, generalizzando un po’, partiamo dalla voglia di cambiare rispetto alla situazione che stiamo vivendo.
Per alcuni questo cambiamento significa semplicemente tornare alla “normalità” di prima (un mondo ingiusto dove, però, l’ingiustizia la vivevano genti lontane); per altri è lanciarsi nel futuro tecnologico dell’internet delle cose e dei corpi (dove chi può permetterselo avrà tanti giocattoli per la propria comodità); per altri ancora cambiare rappresenta rifondare un sistema che permetta lo sviluppo umano, a partire dall’interiorità piuttosto che dalla tecnica (e qui c’è un universo multicolore di posizioni, dai luddisti ai sostenitori del progresso delle tecnologie sostenibili, dai tradizionalisti religiosi alle diverse spiritualità atee emergenti). E forse non è molto difficile immaginare che la situazione cambierà, in un modo o in un altro, ma cambierà.

Ecco in sintesi alcune osservazioni.

VOTERO’ PERCHE’…

  1. Perché voglio che la situazione cambi
  2. Perché votare è un diritto fondamentale di ogni cittadino, è il modo per fare sentire la propria voce. Votare è anche un dovere civico.
  3. Perché è l’unico mezzo che abbiamo per cambiare, anche se le istituzioni non funzionano come vorremmo. Se i cittadini votano persone diverse saranno diverse le decisioni e le politiche, così è la democrazia.
  4. Perché ci sono persone valide che si stanno candidando. Ci sono molte persone nuove, senza conflitti di interessi, che si stanno candidando per la prima volta e che hanno dimostrato nella loro storia di non farsi corrompere.
  5. Perché non votare, annullare o votate bianco sono azioni che non influiscono sul risultato perché non c’è un quorum di voti o di voti validi da raggiungere

NON VOTERO’ PERCHE’…

  1. Perché voglio che la situazione cambi.
  2. Perché è ormai evidente che il nostro voto non conta.
  3. Perché è necessario riprendersi la responsabilità e non delegare ad altri le scelte. Non votare significa non dare più il nostro consenso a questo modello di istituzioni e di democrazia formale.
  4. Perché il sistema politico è in decadenza e chi viene eletto, anche con le migliori intenzioni, o si fa corrompere o non riesce a ottenere niente.
  5. Perché è evidentemente una farsa (hanno atteso il tempo utile per avere il vitalizio, hanno messo in grande difficoltà le nuove formazioni politiche ecc) e il vero cambiamento deve avvenire nella società costruendo una alternativa e modificando la cultura.

Perdonate l’eccessiva semplificazione, che ha il solo pregio di sottolineare che le posizioni polarizzate hanno come sottofondo il persistere, in qualche forma, o l’assenza della fiducia nelle istituzioni come oggi si presentano. Vorrei anche precisare che la fiducia nelle istituzioni non significa fiducia nell’essere umano, come la fiducia nell’essere umano non comporta quella verso le istituzioni e, per finire, che La fiducia è un fenomeno dinamico e non un sentimento immutabile o “religioso”.

Mi auguro che queste brevi considerazioni siano utili alla riflessione e a prendere una decisione che sia la più consapevole possibile. E, lasciatemelo dire, la consapevolezza è l’unica cosa realmente importante per l’evoluzione personale e per quella della nostra specie.

L’evoluzione avanza a salti

L’evoluzione della specie umana avanza superando il vecchio per il nuovo. Si mantiene però una memoria, per così dire, inattiva o non preponderante del livello evolutivo precedente, continuando a svilupparne gli aspetti utili anche nella nuova tappa.

Questa trasformazione evolutiva è anche genetica e fisiologica, avviene comunque (in tutte le specie) con l’accumulazione del processo, ma può essere condotta in modo intenzionale per diverse vie, producendo veri e propri salti evolutivi.

L’assunzione di diverse sostanze nell’antichità di molte culture, associata alla pratica religiosa o spirituale accelerava la capacità di accedere a diversi stati e livelli della coscienza umana, dando una diversa consapevolezza della realtà. Chi si avventurava in quelle pratiche era probabilmente animato di una enorme necessità di risposte a quesiti profondi e/o di un desiderio irrefrenabile di comprensione. Probabilmente esistevano anche linee familiari in cui la scelta era in qualche modo obbligata. Il nuovo sguardo acquisito da quell’esperienza segnava un passo evolutivo dell’uomo o della donna che avevano lavorato intenzionalmente a quello scopo. La loro esperienza era intrasmissibile ma da loro irradiava poi un’aura di saggezza, di bontà o di sapienza e di potere che generavano attrazione.

In alcuni momenti di alcune culture si osserva il tentativo di sostituire il percorso individuale con l’assunzione massiva di quella sostanza attraverso riti collettivi che potessero avvicinare i fedeli all’esperienza, o che segnassero la dipendenza verso gli illuminati. Non sempre funzionava. E i dati di quelle sperimentazioni erano probabilmente custoditi dalla scuole segrete, accessibili a pochi eletti, per prepararli al tentativo successivo.

Ma la specie umana continua a evolvere per la spinta interna di questo essere storico che non scrive la sua memoria solo sui suoi geni, ma la tramanda anche con supporti esterni a lui che sono in grado di resistere al succedersi delle generazioni e alle grandi catastrofi.

E fin dall’antichità sono esistite vie totalmente spirituali, senza alcun uso di sostanze o meccanismi “invasivi” o lesivi del corpo umano, che hanno permesso l’accesso agli spazi profondi della coscienza e, quindi, l’evoluzione intenzionale. Queste pratiche sono giunte fino all’attualità grazie alla dedizione di donne e uomini che, con lo studio e la pratica, le hanno mantenute in vita o le hanno ricostruite in parte o totalmente.

Anche in questo nostro mondo desacralizzato, continuiamo a osservare i rituali collettivi, accompagnati dall’uso di sostanze e l’adorazione di idoli, o la distribuzione massiva di sostanze che si suppone siano “vivifiche” secondo una sacra legge a cui ci si deve affidare.

Ma sono aumentati fortemente anche coloro che seguono le vie totalmente spirituali e che divulgano ormai apertamente quelle pratiche di evoluzione che non dipendono da riti collettivi o da sostanze particolari.

Le scuole degli antichi saperi sono più visibili e avvicinabili e la sensibilità esistenziale delle nuove generazioni promette un salto quantico della specie umana nel prossimo futuro.

Nota: Queste riflessioni sorgono come sintesi di numerose letture e studi del pensiero di Silo e dell’opera di Mircea Eliade ed alcuni altri storici delle religioni come William James e Kàroly Kerényi .

Green Pass o non Green Pass

Alcuni di noi aspettavano da anni questo momento, anche se non sapevano bene come si sarebbe presentato. Però lo hanno riconosciuto subito.
Altri si sono resi conto strada facendo, in questi due anni, che c’era in ballo qualcosa di molto più grosso di un virus, anche se i media hanno amplificato quel microscopico pezzo di RNA e l’hanno fatto diventare un gigante onnipresente.
Allora, dopo la fase delle proteste inefficaci, rivolte a un potere delegittimato e sordo, un mondo parallelo ha iniziato a profilarsi. Le reti si sono moltiplicate velocemente, quelle per aiutare i sospesi dal lavoro, quelle per studiare e riflettere o per fare politica, quelle per conoscersi e uscire, quelle per darsi i passaggi in auto, quelle per sapere dove andare a comprare senza il controllo del ‘coso’, quelle per cercare un nuovo lavoro, quelle per ‘positivizzarsi’ e così poter tornare a lavoro, quelle per scambiare, barattare donare, dare un nome al valore, costruire con reciprocità, autodeterminarsi.
Dicono che il 1 aprile sia l’inizio della fine del Green Pass. Qualcuno vuole fare grandi falò in piazza per bruciare i certificati, le multe, i documenti dell’abominio di questo anno e mezzo… Sarebbe una chiusura simbolica, una grande catarsi collettiva per aprire una nuova tappa di questa storia.

E poi?

E poi vorrebbero farci credere che tornerà tutto come prima.

Mi spiace proprio per chi ci crede, perché non vuol vedere la grande trasformazione in atto e continua a delegare il suo futuro. Comunque sia, Green Pass o non Green Pass il nuovo mondo, quello che ha deciso di non stare al gioco dei diritti concessi come privilegi attraverso un Qrcode, ha già iniziato a respirare e la sua crescita è ormai inarrestabile.

La mia esperienza e le mie riflessioni su Covid-19 e oltre

Introduzione

Un’informazione di massa caratterizzata da contenuti terrorizzanti può innescare effetti psicosociali, capaci di potenziare anche delle reazioni fisiologiche a livello individuale? Due anni di propaganda e anti-propaganda, confinamenti e abbandono a se stessi da parte di molti medici di base, senza dubbio hanno creato un paesaggio mentale dell’era Covid. Sarebbe interessante avere uno studio serio sulla possibilità che questo paesaggio abbia influito a livello fisico sul decorso della malattia, senza togliere niente alla contagiosità o virulenza di ogni patogeno. Qui presento la mia esperienza e le mie riflessioni, limitatissime, ma che magari possono contribuire in qualche modo.

Mi considero una persona sana, ma non è sempre stato facile stare in questo corpo che mi è toccato.

Dopo un’infanzia costellata da tonsilliti feroci (curate con iniezioni mensili di penicillina per un anno), reumatismi infantili, forte meteo-patia e problemi gastrointestinali, a partire dall’adolescenza e per una parte molto importante della mia vita non ho più sofferto di malattie, neanche di quelle che vengono definite come stati influenzali. Molto presto ho smesso l’uso di farmaci di sintesi e degli ormoni (a cui ho manifestato subito una forte intolleranza), lasciando aperta la possibilità di un’aspirina, un antibiotico o un antinfiammatorio nei casi estremi legati in genere ai dolori dentali (altra spina nel fianco che mi ha accompagnato fin da piccola). Ho preferito quindi informarmi e praticare prevenzione con prodotti naturali, con l’alimentazione e poi facendo quella che tutti chiamano una vita sana e piena (privilegiando il senso e la coerenza alla stabilità e la sicurezza). Unico vizio: ho fumato per 22 anni di seguito, escluse le brevi pause dovute a un raffreddore e ho concluso questa esperienza intossicante a 40 anni con una virulenta varicella, presa da bimbi appena vaccinati. Questa malattia mi ha tenuto in casa 3 mesi e, oltre a togliermi il vizio del fumo, ha rinnovato le mie difese immunitarie. Dopo la lettura di molto materiale divulgativo di neuropsichiatria e l’esperienza diretta di lavoro come educatrice in case famiglia psichiatriche e in centri di disintossicazione, ho riflettuto sulla possibilità di prendere almeno un’influenza all’anno. Qualcosa che testasse il mio sistema immunitario e che mi riportasse alla riflessione sulla malattia del corpo, al contatto coi suoi limiti, mantenendo in salute anche la mia mente. Da quel momento quasi tutti gli anni, in autunno o inverno, ho passato 1 o 2 giorni a letto, bevendo tisane e mangiando minestrine, mentre l’arnica omeopatica e il sonno facevano il loro lavoro con gli altri sintomi. Poi è arrivato l’argento colloidale ionico e le brevi influenze si sono ridotte a raffreddori a volte fastidiosi. In questa fase della vita ho vissuto questi stati influenzali come un fenomeno amico, che scandiva un ritmo di osservazione del mio corpo. Da marzo 2020 a novembre 2021, invece, non ho fatto un colpo di tosse, come se mi fossi riprogrammata per non prendere la Covid-19 fino a che non si chiarisse cosa fosse e come curarla. Non ho avuto dubbi che i nostri medici avrebbero trovato presto soluzioni concrete, e così è stato.

A novembre 2021 mi trovavo in Svizzera dal mio compagno Georg e qualche giorno dopo una breve visita a sua sorella, che non stava bene dal giorno in cui avevamo accompagnato la madre all’ospedale per una insufficienza cardiaca, abbiamo iniziato entrambi ad avere dei sintomi influenzali intensi.

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Quando finisce il mondo di Avatar

Immagine di Ronny Overhate da Pixabay

Ricordate quel film di animazione in cui il fratello in sedia a rotelle di uno scienziato morto improvvisamente, prendeva il suo posto nel travasare la sua ‘intenzionalità’ dentro il corpo di un Avatar? Quei corpi giganteschi e superdotati erano stati prodotti dagli umani che cercavano di interagire con la popolazione di un pianeta sconosciuto, con l’intenzione di colonizzare il pianeta, ovviamente, per estrarre non ricordo più cosa. A parte la trama tipicamente made in Hollywood, alla fine della pellicola l’umano trovava il modo di travasare definitivamente la sua essenza nell’Avatar e rimanere nell’altro mondo in modo completo.

Questa storia mi è tornata in mente riflettendo sul momento di cambiamento tecnologico che stiamo vivendo, soprattutto dall’inizio della pandemia. Non è che queste tecnologie non esistessero prima, ma erano senza dubbio utilizzate ancora solo marginalmente dalla popolazione, non erano cosi necessarie come durante il primo lockdown. Poi, con le successive chiusure sono diventate parte integrante della vita di milioni di persone. Sto parlando in particolare delle videochiamate e delle videoconferenze via internet. La giornata tipo di molti di noi si sviluppa ormai da una videochat all’altra. Sono stati fatti video ironici e comici, per far vedere come dietro alla videocamera, appena ci si alza in piedi o si spegne il computer, la vita reale sia diversa. Ma quello che noto con orrore è come molte persone si stiano adattando passivamente a questa forma di comunicazione, o meglio, di contatto audiovisivo. Sono così abituate che arrivano a vedere la possibilità di sostituire con una chat il contatto in presenza, col corpo, anche nelle occasioni in cui, invece, del corpo e di tutti i suoi sensi e antenne, ce ne sarebbe davvero bisogno.

Si lo so, sono vecchia, sono nata nel 1968 e ho visto il carosello nelle prime TV in bianco e nero. Roba da dinosauri. E sicuramente mi estinguerò come loro. Figuratevi che non sono mai riuscita ad appassionarmi ai social e difatti non li uso. Ma il film Avatar mi ha fatto ricordare che anche molti sviluppatori di tecnologia – attuale modello di ‘vincenti’-, spesso sono persone con serie difficoltà affettive e relazionali. Come il protagonista, in carrozzina, poteva finalmente correre nell’agile e atletico corpo creato per lui, anche per molti sviluppatori, ingegneri, informatici, ma anche semplicemente per le persone spaventate o sole il vero sogno potrebbe essere quello di trasformarsi completamente nel proprio Avatar. Il nostro surrogato digitale si muove così agilmente nei social, si esprime senza difficoltà, si inoltra nelle discussioni, pubblica foto sempre venute bene o magari di altri o di paesaggi pieni di poesia, oppure crea meme brillanti o esilaranti e si arrabbia e gioisce con intensità senza il timore della sensazione di ritorno che un corpo vicino a lui potrebbe trasmettergli.

Non ditemi che gufo: e se ci fosse un blackout planetario?

5 buone ragioni per vaccinarsi… e per non farlo

Credo che in questo momento, anche se la stampa ci riempie di informazioni pseudo scientifiche e narrazioni maldestre riguardo alle diverse proposte vaccinali, la loro produzione e distribuzione, ci sia una domanda nel sottofondo di ciascuno. Vaccinarsi: si o no?

Ho scremato fra i motivi che ho visto circolare in rete e che squalificano l’una o l’altra posizione con argomenti a volte graziosi, a volte disgustosi, ma di poca utilità, se non quella di alimentare una falsa polarizzazione mediatica fra le differenti posizioni.Ho invece riflettuto e ho scelto 5 buoni motivi che, dal mio punto di vista, danno un fondamento adeguato alla propria decisione. Si tratta di una scelta importante. Non sono certamente gli unici motivi ma sono quelli che mi permettono di evidenziare alcuni antepredicativi. Non ho intenzionalmente messo le ragioni che, glissando sull’aspetto sanitario, si inscrivono nei Si o nei NO rispondendo a questioni economiche e/o di libertà, poiché la salute fisica e mentale è il vero perno di tutta questa storia e ciò che più mi preoccupa. Quindi riflettiamo:

MI VACCINERO’ PERCHE’…

  1. Perché non voglio ammalarmi o ri-ammalarmi.
  2. Perché credo che il vaccino sia l’unica soluzione scientificamente provata, non esistono altre cure.
  3. Perché, anche se i vaccini anti Covid 19 non sono stati testati adeguatamente, credo sia necessario dare una risposta urgente a questa grave malattia.
  4. Perché credo che la medicina degli uomini si sviluppa provandola sugli uomini, è necessario prendersi questa responsabilità e ciò giustifica le eventuali perdite di vite durante la sperimentazione.
  5. Perché credo che l’OMS, i governi e le industrie farmaceutiche stiano facendo in generale del loro meglio per proteggere la salute dei cittadini di tutto il mondo, non senza errori, ma la situazione è eccezionale.

NON MI VACCINERO’ PERCHE’…

  1. Perché non voglio ammalarmi o ri-ammalarmi
  2. Perché non credo che il vaccino sia l’unica soluzione scientificamente provata, anzi credo che sia quella meno testata, mentre ci sono tante cure che hanno dato buoni risultati.
  3. Perché non credo che il Covid19 sia così grave, se preso in tempo con cure adeguate e che l’urgenza sia ingustificata, vista la disomogeneità dei dati e la scarsa efficacia degli strumenti diagnostici.
  4. Perché credo che la pratica medica debba rispettare le persone e integrare le conoscenze mediche di tutte le correnti, quando ci si trova di fronte a un fenomeno nuovo invece di fare un grande esperimento di massa sulle persone.
  5. Perché credo che all’interno dell’OMS, dei governi e delle lobbies farmaceutiche ci siano interessi molto grossi di soggetti la cui priorità non è affatto la salute dei cittadini di tutto il mondo.

Questi motivi manifestano nel complesso al loro interno una certa coerenza, anche se denotano certamente diverse visioni della realtà, che probabilmente presentano molte più sfumature e passaggi da una posizione all’altra all’interno delle persone. Ma c’è un punto in comune nelle due posizioni e che esprime un bisogno. Poi si tratta di credenze e di opinioni, senza dubbio corredate dalle esperienze che ciascuno di noi ha fatto e fa ancora oggi con le istituzioni e con la salute e la cura di sé e di chi ci circonda. Questa epoca complessa nella quale viviamo richiede un approccio non superficiale e opportunistico, poiché si sta gestando un nuovo mondo e ciascuno deve trovare il proprio centro di gravità da cui scegliere e prendere decisioni.

Spero sia utile questo breve contributo.

La storia non è finita

-… nonna, ma poi come è andata a finire la storia?

– beh, poi c’è stata quella cosa del virus…

– il virus?

– si, quella microscopica catena proteica ha fatto un pandemonio nel pianeta e ha messo a dura prova la specie umana. L’anno chiamata pandemia, la diffusione di un virus sconosciuto in tutto il pianeta nello stesso momento. Sai, avevano raggiunto un livello di interconnessione molto interessante anche se ancora abbastanza primitivo.

– ah, si interconnettevano come noi?

– ahahahahaha! Noooooooo! Avevano mezzi di trasporto che funzionavano con la b-e-n-z-i-n-a, l’hai studiato l’anno scorso, ricordi? Quel combustibile fossile così difficile da estrarre dal sottosuolo e così inquinante. Avevano telefoni portatili quasi usa e getta, con batterie inquinanti fatte con materie prime rare e che non potevano essere sostituite, insomma, un’industria terribilmente non sostenibile. Avevano contratti commerciali fra le nazioni e fra le aziende e un sistema economico selvaggio e autodistruttivo che facilitava le grandi aziende e penalizzava quelle piccole. I ricchi diventavano sempre più ricchi e la finanza aveva soffocato l’economia reale, quella concreta, dove si producono cose utili per la vita delle persone.

– ma, nonna, dove li prendevano i soldi i ricchi, per essere così ricchi?

– dai poveri! Chiaro! Come una moderna forma di schiavismo. Non so come fare per spiegarti l’assurdità di come pretendeva di funzionare quel sistema. Ma inoltre la gente povera aspirava a diventare come loro, come i ricchi! Quella era la cosa più ridicola.

– e questa storia del virus?

– quello è stato l’inizio di una fine accelerata. Nessuno in realtà sa come è andata davvero, ma la cosa è sfuggita di mano e non c’è stato più modo di controllarlo. All’inizio i contagiati morivano come mosche e non si capiva niente. Non si sapeva come funzionava, come curare la malattia quando si sviluppava, se chi guariva sarebbe stato immune o no. Fu emergenza sanitaria e rapidamente tutto il mondo entrò in un lockdown senza precedenti e senza scadenza. I governi si dotarono di poteri speciali e chiusero i confini delle loro nazioni, poi le regioni al loro interno, i comuni. Si bloccarono i trasporti, le scuole e tutte le attività produttive, solo la filiera alimentare poté continuare a lavorare per rifornire i supermercati. Gli animali del bosco cominciarono a girellare per le strade deserte. Una cosa assolutamente inedita e surreale.

– e la gente come reagì? Era come stare in prigione, no? Ma senza aver fatto alcun reato. Devono essersi sentiti molto male. Penso ai giovani come me, senza uscire, senza avere una vita sociale…

– certo, fu molto duro. In molte nazioni dopo poche settimane le persone uscirono per strada a protestare, mentre i bollettini sanitari quotidiani suonavano a bollettini di guerra e tanti osservatori sociali cominciavano ad esprimere i loro dubbi e le loro perplessità. Ma mentre passavano le settimane la crisi economica diventava l’argomento più spaventoso, ancora più della sfida sanitaria e degli errori fatti dai sistemi di protezione della salute assolutamente insufficienti. Curiosamente però nei paesi a economia bassa e limitato sviluppo dei servizi sanitari non ci furono ecatombi di morti. I media fecero molta confusione e l’incertezza iniziò a regnare nei popoli e nei cuori delle persone.

– …e questo è un male? L’incertezza per noi è una realtà, fa parte della crescita, dell’evoluzione…

– devi pensare che allora le persone che vivevano sul pianeta non avevano assicurata la sussistenza solo per il fatto di essere nati in una comunità umana.

– ah nooo? E come facevano allora?

– chi non lavorava non riceveva di che vivere. E il sistema permetteva che grosse aziende multinazionali si impossessassero, con accordi legali, delle risorse di interi paesi, corrompendone le dirigenze. Anche oggi ci sono persone che hanno più cose di altri, ma tutti scelgono il loro stile di vita e ogni volta di più la tendenza va verso la sobrietà e verso una vita in cui il tempo libero sia centrale. Come potremmo dare spazio alla creatività e alle capacità di ciascuno? Per fartela breve, fu un grande scossone per le coscienze e molte persone cominciarono a pensare.

– perché, prima non pensavano?

– beh, si, ma spesso in modo disordinato e presi dalle proprie esigenze individuali. Avevano insegnato loro che l’individuo, o al massimo la propria famiglia di sangue, era la cosa più importante, non si percepivano come esseri unici e parti di un insieme allo stesso tempo. Figurati che c’era ancora gente che credeva nell’esistenza di diverse razze umane. Eravamo ancora nella preistoria, non dimenticarlo.

Ma poi accadde quello che non sarebbe stato immaginabile. Tanta gente iniziò a connettersi, prima con gli strumenti tecnologici in loro possesso, ma poi iniziarono a sentirsi a livello mentale, anche oltre i loro corpi fisici, proprio come facciamo adesso noi. Mentre il virus perdeva forza il sistema agonizzante cercava di imporre con la forza misure di controllo e austerità. Comparvero anche gli esseri umani creati dall’essere umano, poi i robot umanoidi e, in quel caos decadente di un sistema ingiusto e inumano, iniziarono a crescere reti e connessioni fra coloro che erano più consapevoli e si rendevano conto che un futuro era possibile solo se i paradigmi della società fossero stati cambiati. Che non c’era futuro per una parte da sola, la società doveva pensare allo sviluppo di tutti e alla convivenza armoniosa con l’ambiente naturale, senza perdere però la libertà di scelta personale, come era accaduto in passato con le dittature. Ci si rese conto che la vita umana andava oltre la sussistenza materiale e la salute del corpo fisico, che c’era un’enorme parte intangibile e ancora inesplorata che ci univa come specie nel profondo di ciascuno di noi. E allora iniziò il risveglio…

Ma questa è un’altra storia.

– noooooo, dai nonna! Raccontami tuttoooo

Con l’urlo disperato della ragazzina mi sveglio.

Guardo il calendario: 11 aprile 2020.